Piatti tipici dei nostri borghi

A seguire alcuni piatti tipici dei borghi dell’Unione, preparati secondo ricette antiche ed originarie e resi unici dall’utilizzo e/o dall’aggiunta dei prodotti di alta qualità del territorio

 

 

Torta di Pasqua

 

Chiamata anche Pizza di Pasqua, è in realtà un pane molto soffice e lievitato, il cui impasto è arricchito con uova, formaggio e strutto.
Si consuma per tradizione durante l’abbondantissima colazione di Pasqua, servita con capocollo, uova sode e magari accompagnata da un bicchiere di vino rosso. Un tempo, la sua preparazione impegnava tutta la famiglia, sia per le quantità di torte da preparare, sia per la metodologia che prevedeva l’uso del lievito madre. In passato, si usava portare la torta lievitata negli stampi a cuocere nel forno del paese, sia come rito di condivisione che per assicurarsi la migliore cottura possibile. La tradizione era di fare tante torte, almeno 10 o 15, per cui si accantonavano le uova durante la Quaresima.

 

 

Gli Strangozzi, detti anche “Strozzapreti

 

Pasta lunga e a superficie ruvida, dall’impasto povero fatto solo di acqua e farina, che testimonia la semplicità della cucina umbra di un tempo.
E’ in genere accompagnata da sughi senza carne: tartufo, pomodoro, peperoncino, asparagi e funghi.  Sembra che il loro nome sia dovuto alla somiglianza alle stringhe delle scarpe con le quali i rivoltosi anticlericali strangolavano, ai tempi del dominio dello Stato pontificio, i preti di passaggio. L’Umbria, infatti, è stata per secoli sotto il dominio papale, per cui era assai sviluppato un forte sentimento anticlericale.
C’è una leggenda che corre sull’origine di questo piatto: Sembra che sulla collina di Campello Alto (sopra le fonti del Clitunno), nel vicino castello di Pissignano, sia sostato Barbarossa prima di distruggere Spoleto. Probabilmente la cuoca del castello preparò all’imperatore degli strangozzi talmente buoni da convincerlo a cambiare la sua idea originale di distruggere l’Umbria.

 

 

Picchiarelli

 

I picchiarelli sono un formato tipico di pasta, grezzi e consistenti, versatili nella preparazione e squisiti nel sapore.
Il sugo del picchiarello, in genere, deve essere semplice ma saporito.

 

 

La parmigiana di sedano nero, Il piatto tipico di Trevi

 

Il mese di ottobre a Trevi è dedicato del sedano nero.
Lo si può acquistare alla Sagra del Sedano che si svolge in questo mese nel borgo e lo si può gustare nei ristoranti locali cucinato in vari modi. La costa esterna è utilizzata per la preparazione di vellutate di verdure; la parte interna, più morbida, si mangia in pinzimonio. Le foglie invece vengono essiccate, trasformate in polvere e utilizzate per insaporire dolci e pane.
Tuttavia, il piatto tipico di Trevi è la parmigiana di sedano nero. Per la sua preparazione si devono pulire i gambi di sedano senza romperli e lessarli in acqua salata. Dopo averli fatti raffreddare e scolare, riempire i gambi con un composto di: carne macinata, salsiccia, uovo, parmigiano grattato e condire il tutto con sale, pepe, olio extravergine di oliva (un altro prodotto d’eccellenza della Regione Umbria), e spezie a piacimento. In seguito, passare i gambi nell’uovo, poi nella farina e friggerli. Dopo la frittura, sistemarli in una teglia e condire con ragù e parmigiano. Cuocere in forno per circa 20 minuti a 180 gradi e gustare questo delizioso piatto insieme a un calice di Montefalco rosso.
È un piatto tipico del periodo autunnale, magari da gustare nella seconda metà di ottobre direttamente a Trevi durante la Mostra Mercato del Sedano Nero, oppure da preparare a casa dopo aver acquistato l’ortaggio. Un piatto unico, sostanzioso e ricco di sapore, ripieno di carne tritata e salsiccia e con una leggera crosta condita con pomodoro e parmigiano: la ricetta è un po’ laboriosa, ma il suo gusto vi conquisterà.

Gnocchi al sagrantino

 

Ricetta tipica della zona di Montefalco, da cui proviene il vino pregiato prodotto nelle colline che circondano questo piccolo e splendido borgo.

 

 

La Fojata

 

La sua ricetta ha antiche origini. Un tempo veniva cotta sotto la brace, in capienti teglie di rame o negli antichi forni a legna. È una torta salata composta da una sottilissima sfoglia di pasta croccante arrotolata, contenente una saporita farcitura di erbe di campo come bietola o cicoria, olio extravergine di oliva e peperoncino.
Si serve tiepida o fredda ed è l’ideale per un pratico secondo piatto o un aperitivo dal gusto sfizioso.

 

 

 

Rocciata, detta Attorta o ‘ntorta 

 

La Rocciata è un dolce ripieno di origine medievale caratterizzato da una sottile sfoglia di pasta di farina di grano arrotolata su se stessa a forma di spirale e farcita con mele tagliate a tocchetti, noci tritate, cacao amaro o cioccolato fondente grattugiato, scorza di limone e alchermes.
La Rocciata in passato era tipica dei mesi freddi, dal tardo autunno alla fine dell’inverno, sia per la reperibilità sul mercato di noci fresche, che sono l’ingrediente basilare, sia per la caloricità del dolce, ma oggi possiamo trovarla e gustarla tutto l’anno.

 

 

 

 

La Nociata di Massa Martana

 

La nociata è la versione umbra del più famoso torrone. La sua preparazione coinvolgeva intorno al focolare domestico l’intera famiglia: i bambini iniziavano a mescolare l’impasto ancora liquido per poi passarlo alle donne, fino a vedere il coinvolgimento degli uomini, quando l’impasto si fa più duro, per portare a termine la cottura.
Gli ingredienti essenziali della nociata sono miele, noci, albume d’uovo, aromatizzati con buccia d’arancia e guarnita di foglia di alloro. Come vuole la tradizione è necessario cuocere il miele e l’albume d’uovo in un caldaio di rame mescolandoli per circa 4 ore. Quando il composto diventa bianco e cremoso, si aggiunge la buccia d’arancia finemente tritata e le noci. Una volta amalgamato il tutto si stende il dolce su di un piano in legno e velocemente si lavora prima che diventi solido al fine di creare i classici “pezzetti di nociata”. Una foglia di alloro conferisce infine un aroma inconfondibile a questa originale specialità massetana.

 

La tradizione narra che a portare questo dolce a Massa Martana fu Sigismondo Ranucci (1848-1918) detto “Gismondo”, di professione “caffettiere” che dopo un periodo di lavoro  a Copenaghen, ritornato  a Massa sul finire del 1800 , cominciò a fare e vendere la Nociata nell’osteria  di famiglia, che nel 1873 risultava essere posta all’angolo di  piazza Umberto I°  , davanti al Teatro Comunale e al pubblico forno (odierna sede Pro Loco). Nel giro di pochi anni il dolce fatto con miele, noci ed albume d’uovo ebbe tanto successo da diventare il dolce tipico natalizio di Massa Martana . Dopo la morte di Sigismondo l’attività di famiglia fu portata avanti dal figlio Pompilio e  dal nipote Mario con lo spostamento della sede in quella attuale ed il cambiamento del nome in Caffè e poi Bar Centrale.
La Nociata veniva preparata in un caldaio di rame scaldato dal fuoco e con l’impasto mescolato da una pala di legno mossa da mani abili e vigorose ma non senza fatica; per questo all’inizio degli anni ’70 Mario Ranucci mise a punto un macchinario che utilizzava pale di legno mosse da un motore elettrico; questo gli consentì di produrre maggiori quantità di Nociata per rispondere così alla sempre maggiore richiesta.
Negli anni la Nociata, venne anche prodotta con sfumature diverse da varie famiglie massetane; tuttavia il segreto della ricetta originale  fu tramandato gelosamente solo  all’interno della famiglia Ranucci, che continuò a produrla anche dopo la scomparsa di Mario(1985)  fino al 1997, quando a causa del terremoto fu costretta a sospendere la produzione.

 

 

Le pastarelle e i Panicocoli di San Nicolò di Bevagna

 

A dicembre, a Bevagna, tutta la popolazione ed in particolare i bambini, aspettano l’arrivo di San Nicolò.
La notte tra il 5 e il 6, questi ultimi ricevono i regali accompagnati dalle pastarelle e dai pinacocoli.

Le pastarelle di San Nicolò sono biscotti all’anice, senza uova, preparati con olio extra vergine di oliva e vino bianco,  mentre i panicocoli, sono cialde cotte con appositi ferri, da scaldare sul fuoco.

 

 

 

 

Crescionda

 

Al palato è soffice e vellutata. Il sapore avvolgente del cioccolato fondente e l’aroma di mandorla, fanno della Crescionda un dolce tipici di questi territori!
Gli ingredienti base di questa delizia sono cioccolato, latte, uova, zucchero, biscotti, buccia di limone, olio e farina di grano (con la variante di farina di mais e fette di mele nelle ricette più antiche). Tramandata in famiglia di generazione in generazione e riconosciuta come prodotto tradizionale umbro, viene preparata solo nella zona che va da Spoleto a Castel Ritaldi, da Campello alla media Valnerina.
Deriva il suo nome probabilmente da “crescia unta”, cioè focaccia unta con il grasso, che anticamente era quello del brodo di gallina o dello strutto, oggi sostituiti dall’olio extravergine di oliva o dal latte. Le sue origini nascono nel Medioevo, quando si amavano molto i contrasti agrodolci a tavola. La ricetta originale infatti metteva insieme prodotti molto distanti tra loro per gusto, come brodo di gallina, zucchero e pan grattato, cui si aggiungevano formaggio pecorino, buccia di limone, cioccolato fondente grattugiato o cacao amaro. Oggi gli ingredienti sono stati rivisti secondo i gusti più attuali e personali e il cioccolato è diventato l’elemento dominante. Tra le varianti esiste la Crescionda di mele, che però viene preparata raramente, la Crescionda “poretta” e poi quella più nota, la Crescionda a tre strati, che è composta da una base di amaretti e farina, uno strato centrale fatto con uova e latte, che assomiglia a un budino alla vaniglia, e per finire uno strato scuro realizzato quasi esclusivamente con il cioccolato.
L’impasto pronto per essere cotto al forno ha una consistenza piuttosto liquida che dona una morbidezza cremosa al dolce. Caratteristica della Crescionda, data dalla presenza di un quantitativo minimo di farina, è una sottile striatura bianca al di sotto della crosta più scura e al di sopra dello strato di cioccolato più chiaro.

 

 

Sanguinaccio salato

 

Specialità antica quanto gustosa! Si ricava dal sangue di maiale con aggiunta di sale, dadini di grasso, pane casereccio, pinoli, uvetta, cacao, buccia d’arancia, zucchero. Il tutto viene mescolato per evitare che ci siano dei coaguli e si lascia in infusione per almeno dodici ore. Al termine del tempo l’impasto viene insaccato nei budelli del maiale.
Appena insaccati, i sanguinacci vanno immersi in acqua fredda leggermente salata e fatti bollire per circa trenta minuti a fuoco moderato.
Estratti, vanno appesi e per utilizzarli devono essere tagliati in piccoli pezzi e poi ripassati in olio o strutto.

 

Sanguinaccio dolce

 

Il sanguinaccio dolce è una crema a base di cioccolato fondente amaro e sangue di maiale, storicamente legato alla lavorazione della sua carne nel periodo invernale. Il sangue caldo, prelevato dopo l’uccisione dell’animale, viene filtrato e versato in una pentola assieme al mosto cotto e fatto cuocere, mescolando in continuazione. Il composto deve raggiungere la consistenza di una crema spalmabile. A metà cottura si aggiungono le noci spezzettate e la cannella. Il sapore è dolce e fruttato e le noci danno croccantezza alla crema.

 

 

Pizza con gli sfrizzoli

 

E’ una focaccia, il cui impasto è arricchito con strutto, sfrizzoli e pecorino.
Gli sfrizzoli si ottengono dalla cottura del lardo di maiale tagliato a cubetti, il grasso si scioglie e si toglie con un mestolo, quando si raffredda ha una consistenza bianca ed è chiamato strutto;  quello che resta del lardo nel tegame sono residui fibrosi, chiamati appunto sfrizzoli.

 

 

La Cicerchiata

 

E’ un dolce di Carnevale, insieme alla crescionda, alle frappe e agli strufoli. Il suo nome trae origine dalle cicerchie, i legumi protagonisti delle zuppe contadine.
Ogni pallino della cicerchiata ne ricorda la forma e un po’ il colore, con la notevole differenza di essere dolce, fritto e ricoperto di miele.

 

 

Frascarelli

 

Questo piatto, noto soprattutto sino agli anni cinquanta, era consigliato, in tutte le stagioni, alle donne, nel periodo di allattamento.
I Frascarelli sono preparati con uovo, acqua, farina, sale, olio e pecorino. I frascarelli vanno cotti in acqua salata e conditi con olio extravergine di oliva fresco e formaggio pecorino.

 

 

Acqua cotta

 

E’ un piatto povero, molto diffuso in passato in questi territori.  La zuppa, consumata calda o fredda, veniva preparata con cicoria selvatica di campagna, cotta in acqua salata insieme a qualche erba aromatica in una pigna di coccio. Sul pane raffermo, posto in un piatto di coccio, si versa la cicoria, l’acqua di cottura, olio e il pecorino.

 

 

Il Pancotto

 

Era il piatto “consigliato” alle donne che allattavano, ai bambini che iniziavano lo svezzamento, agli anziani che non avevano più una dentatura adatta ad una corretta masticazione.
Il pane raffermo veniva spezzato e fatto bollire a fuoco lento in una pigna di coccio con acqua salate e spicchi d’aglio. Servito caldo, dopo avere tolto l’aglio, condendo con abbondante olio extravergine di oliva e pecorino.

 

 


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